Vera Gornostaeva[1]
Muzykal'naja žizn' n.12 anno 2007 pp.15-18
Il suo nome è già un simbolo.
Richter rappresentava un fenomeno
particolare, che in un certo senso si riferiva agli aspetti
fondamentali della scuola di Neuhaus. E' un fenomeno molto
interessante. Neuhaus, la sua classe e la sua scuola
rappresentavano l’interpenetrazione delle due culture alle quali
egli apparteneva in uguale misura, quella europea e quella
russa. In questo senso Slava rappresentava la continuazione di
Neuhaus e per questo motivo gli era così consono da diventare il
suo allievo preferito. Ambedue erano uniti dallo spazio della
cultura mondiale, dalla quale derivavano le radici dell’uno e
dell'altro. Slava è nato a Žitomir, un'altra coincidenza: anche
Neuhaus è nato in Ucraina, a Elisavetgrad. In tutti e due il
sangue slavo era mescolato a quello tedesco: Richter aveva madre
russa e padre tedesco, Neuhaus aveva madre polacca e padre
tedesco. In entrambi i casi è evidente l'unione dell’elemento
slavo con quello tedesco. Immaginatevi il padre di Richter,
organista, che tutta la vita ha suonato questo strumento;
attraverso di lui Richter si è imbevuto di tradizioni europee.
Neuhaus ha vissuto una parte della
vita in Europa, ha studiato a Berlino, in Italia, a Vienna da
Godowski, nella sua gioventù. Poi è rientrato in URSS e fino
alla fine dei suoi giorni là è rimasto bloccato: ad un certo
punto è stato autorizzato ad andare a Varsavia, poi ancora a
Praga ma poi da nessun'altra parte.
Richter era naturalmente attratto
da Neuhaus, e i due si sono immediatamente uniti spiritualmente.
E' del tutto evidente che queste due persone erano predestinate
l'una all'altra.
Questo tema, quello della miscela di culture nel processo
creativo di Richter, è per me molto importante. Perché noi,
cresciuti ai concerti di Sofronizkij, della Judina, ci siamo
scontrati con qualcosa che per noi era inatteso. Dopo gli Studi
sinfonici di Sofronizkij respiravamo un’aria completamente
diversa negli stessi Studi sinfonici nei concerti di Richter.
Era uno Schumann completamente diverso.
Ecco l'episodio che mi è venuto in
mente all'improvviso adesso. Una volta Slava invitò a casa sua
me e Alik Slobodjanik[2]
. E all'improvviso propose di ascoltare l’Humoresque di Schumann
nella sua esecuzione (una cosa per lui molto insolita!). Disse:
“Sapete, l'ho registrato tanto tempo fa, l’ho persino
dimenticato, m'interessa sentire che musica sia”. Mise su il
disco. Sentii nel suo Schumann l'influenza della filosofia
tedesca. Nell'esecuzione di Richter c'era il grande idealismo
tedesco che vive nella musica di Schumann. Tutte le immagini
liriche dell'Humoresque erano lette con tale purezza, tale
altezza, prive della sensualità alla quale eravamo abituati in
Sofronizkij. La musica di quest'ultimo era sempre terrena – le
incrinature, le crepe, il suono sensuale del pianoforte e il
timbro profondo della stessa voce dello strumento. Mentre la
musica di Slava era come se fosse quasi sterile, planante,
liberata dalla carne terrena. A momenti sembrava un po' troppo
“alla tedesca”, in particolare il secondo brano. Veniva voglia
di sentire qualche rubato, un po' di disinvoltura. Invece qui
tutto era metronomico. La metronomicità del tema mi costrinse a
pensare, ma allora non mi concentrai troppo su questo...
Dunque, ascoltammo l'Humoresque.
Silenzio. Cosa si può dire in presenza di Richter della
registrazione appena ascoltata? Noi imbarazzati tacevamo.
Esprimere ammirazione? Sarebbe stato banale ... Richter non è la
persona adatta ad atti di ammirazione in sua presenza. Non
dicemmo nulla, soltanto lui stesso all'improvviso disse in modo
sconsolato: “Eppure sono un terribile pedante”. Non scorderò mai
il modo in cui disse: “terribile pedante” a proposito del
proprio disco. Ed ho capito perché: proprio a causa di questa
metronomicità, che notò lui stesso. La ascoltò come se si fosse
visto allo specchio, si trattava di giudicare sé stesso, e non
uno dei brani, ma forse tutta l'interpretazione nell'insieme.
“Eppure sono un terribile pedante”.
E poi: “Andiamo a bere il tè”.
Richter nei propri riguardi era
severo... no, la parola “severo” non va, era crudele, senza
pietà con se stesso, si metteva i voti da solo. E molto
raramente era contento. Una volta suonò in modo assolutamente
geniale gli Studi sinfonici nella Sala Čajkovskij. Stavamo
seduti accanto a Rudolf Kerer[3].
Me la ricordo ancora questa esecuzione. Ero sconvolta, anche se
già molte volte avevo ascoltato questa composizione nella sua
interpretazione. Nella seconda parte ci furono i Quadri d'una
esposizione e anche questi l'avevo ascoltati molte volte. Questa
volta si trattò di una variante passabile, diciamo per lui non
molto riuscita. Ed ecco la reazione del pubblico: dopo la prima
parte applausi educati, buoni, solidi, mentre dopo la seconda
urla, rumore, quasi uno scandalo. Siamo corsi da lui nel
camerino con Rudolf. Appena uscito dal palcoscenico, sudato,
senza aver suonato ancora nessun bis, si è girato verso di noi:
“E allora, allora... Ecco. Suoni per loro. Ho suonato in modo
decente – disse modestamente – gli Studi sinfonici, e tre
applausi. E non ho suonato tanto bene Musorgskij e guardate cosa
sta succedendo”. E lo disse con tanto avvilimento, in un modo
così commovente.
In genere era una persona umile,
solo adesso mi rendo conto fino a quale punto lo fosse. Ogni
giorno vediamo qualcuno che non presenta assolutamente niente di
importante, si gonfia, ogni giorno appare in TV, si fa una
volgare autopubblicità, s'infila nella politica, non si schifa
di nulla, gli basta riempire la stessa sala, udire le stesse
urla tanto desiderate.
Richter aveva una gloria di
dimensioni planetarie, e questa gloria gli è crollata sulle
spalle. E’ sempre una tentazione diabolica, la tentazione di
essere così famosi. Una citazione da Pasternak: “Essere famoso
non è bello...” E sì. Essendo così tanto famosi come lui, si
poteva facilmente mantenere una calma olimpica nei riguardi
delle proprie interpretazioni. Tanto più che attorno c’erano
solo lodi e voci di adorazione. Queste provenivano da tutti
tranne che da Nina[4],
che era il suo giudice più sincero e fedele. V'immaginate quanta
adulazione, quanti fiori circondavano quest'uomo, quali
recensioni? E come si fa a restare umili? Ma la sua natura era
diversa. Frequentandolo, ho visto prima di tutto un
atteggiamento ironico verso sé stessi. In lui non si vedevano
mai cose come la “autotranqullizzazione”, la “autostima”, per
non parlare poi di sufficienza, perché non è applicabile alle
persone come lui.
... Ad esempio una sua qualità che
adesso si ricordano tutti: davanti a lui non si poteva parlare
male degli altri. Ecco, si sta insieme, si comincia a discutere
e immancabilmente s'inizia a sparlare di qualcuno. Ma in sua
presenza questo non poteva succedere! Immediatamente cambiava
discorso. Se si cominciava a dire qualcosa di brutto sul conto
di un musicista, lui subito ricordava qualcosa di positivo. Era
evidente che per lui era sgradevole. E siccome per noi lui era
una persona attorno alla quale c'era un'aura particolare,
involontariamente obbedivamo a quest'ordine sottile e quasi
nascosto. Davanti a lui era impossibile dire trivialità,
volgarità, raccontare barzellette eccessivamente frivole. Non
gli si confaceva.
Negli ultimi anni c’era il disamore
per le visite rituali dei complimentanti in camerino. Dopo il
concerto scappava via. Capiva che era una tradizione senza
senso: tu stai la, ti vengono a trovare, ti fanno i complimenti,
tu rispondi qualcosa. Non amava le formalità. Non amava e non
rilasciava interviste. Guardava con ironia tutto ciò che gli era
“attorno”.
Non amava perdere tempo. Mi ha
contagiato con questa comprensione del valore del tempo. Non
deve sfuggire come l'acqua nella sabbia, come capita a noi di
continuo.
Non guardava la televisione. Una
volta mi disse: “Vera, lo sa, non si deve guadare la
televisione, è terribilmente dannoso. Lì c'è una radiazione”.
Certamente non perché volesse proteggere la salute, ma
semplicemente la televisione rappresentava l'esempio di quella
vanità che per tutta la vita aveva fuggito. Televisione,
chiacchiere a tavola, al telefono, tutto questo non era per lui,
e non faceva parte di lui.
Richter non parlava volentieri al
telefono, lo sapevano tutti quelli che lo conoscevano da vicino.
“Posso parlare con Sviatoslav Teofilovič?”. “Sapete, non parla
al telefono”. “Come?!”. “In genere, mai”. Parlava al telefono
con una sola persona, Nina L'vovna. Una volta me lo spiegò (è
successo quando ancora abitava nella vecchia casa, nel Brjusov):
“Vera, sapete, ho capito che il telefono è il più grande male
della vita umana”. Ho risposto: “Si, tutti noi lo comprendiamo”.
“Allora, io l'ho capito sul serio. Si immagini, lei si alza al
mattino pieno di forze fresche e con la sensazione di una certa
purezza della giornata a venire. E cosa accade? La chiamano al
telefono, diciamo in due ore la chiamano otto persone. E lei
sente che in queste due ore si è consumato, si è speso, si è
sporcato... Lo sa, cosa ho fatto io? Ho smesso di pagare il
telefono. Per liberarmene”. “E poi cosa è successo?”. “E'
arrivato l'impiegato dei telefoni e ha detto: Cittadino Richter,
lei non ha pagato il telefono da tre mesi. Cosa intende fare?
Non pagare? Paghi, se no, le staccheremo la linea”. Io gli ho
risposto: “Caro mio, me la stacchi, per favore. A me il telefono
non serve”. E quello: ”Non faccia il cretino! Glielo stacco sul
serio”. “Prego”. E gli staccarono la linea telefonica, nella sua
“metà” della casa non c'era il telefono[5].
E quando loro si sono trasferiti in
via Bronnaja, non gli hanno messo il telefono per niente. Il
telefono ce l'aveva la povera Ninočka, che rispondeva a tutti e
per tutto.
Perché tutto ciò? Ho già detto che
non amava le vanità. Non amava sprecare la vita per delle
sciocchezze. Se uno andava a trovarlo, capitava in uno scenario
preparato in anticipo. Di solito cosa succedeva? A cena si sta a
tavola per tre ore, poi ci si separa senza avere acquisito nulla
di nuovo. Mi ricordo molti inviti da Richter e ogni incontro
aveva un programma speciale. Ed era sempre legato alle opere
d'arte: musica, pittura, teatro. Per esempio, organizzava una
mostra di quadri di Picasso. Là si trovavano anche le opere
regalate da Picasso (Sviatoslav Teofilovič lo conosceva). Sul
tavolo un unico raro libro, consultato da tutti: Carmen
illustrata da Picasso. Per la buona riuscita della mostra, Slava
era capace di inventare qualsiasi cosa. Allora abitava ancora
nel vecchio appartamento, dove c'era una stanza molto grande,
detta “sala”; del resto la “sala” c'era anche nel nuovo
appartamento. Slava desiderava assolutamente avere in casa una
simile “sala”. E tre stanze si univano in una sola.
Nina L'vovna si lamenta che in casa
c'è il manicomio: Slava prepara la mostra di Picasso. Tormenta
tutti: la mostra di Picasso, assicura, non può svolgersi in una
sala rettangolare, ci dev'essere ad esempio una sala con sette
angoli, corrispondente alla pittura. Ed operai specializzati
lavorano dal mattino alla sera, costruendo col compensato o col
cartone questi “sette angoli” come lui aveva progettato. Dopo,
tutto doveva essere coperto da una stuoia grigia (e bisognava
riuscire a trovarla nei tempi sovietici!). Sopra ogni quadro
aveva sistemato l'illuminazione come in un vero museo. Mi
ricordo quando siamo arrivati, come ci accompagnava
personalmente e come era felice e come aveva scelto la musica
adatta a Picasso. Si trattava di una azione spirituale. Si
usciva dalla casa con la sensazione di una assoluta e
indimenticabile unicità della serata.
Spesso ricordo un Natale in casa di
Richter. Per la prima volta ho visto un albero di Natale che non
assomigliava agli alberi della mia infanzia. Slava stava facendo
le magie nella “sala”, mentre noi aspettavamo nella stanza
piccola. A mezzanotte meno cinque ci ha chiamati. C'erano i
candelabri, le candele, che lui accendeva con una torcia, c'era
un magnifico enorme bellissimo abete fino al soffitto, non
c'erano giocattoli, ma soltanto ardevano le candele di cera, e
da sopra scendevano fili d'argento. E l'albero baluginava ...
Sotto suonava un carillon. Un particolare carillon svizzero,
molto caro, che Richter aveva portato da fuori, e che suonava
magnificamente e molto a lungo. Non riconobbi la musica, ho solo
indovinato che era vecchia musica tedesca, del romanticismo
tedesco. Mi ha chiesto: “Lo sa cos'è questa musica?” “No”, ho
risposto arrossendo. “E' Humperdinck, un compositore
dimenticato”.
E sotto l'albero di Natale c'erano
i regali, per tutti. Lo “scenario”, tutto, era stato creato da
Slava. Si alzò Dmitrij Nikolaevič Žuravlëv[6]
per recitare Stella di Natale dal Dottor Živago,
che ascoltai per la prima volta in questa casa. Recitava in modo
sconvolgente. Dopo la prima strofa ho capito che era Pasternak,
ma un Pasternak che non conoscevo. Assorbivo quei versi geniali,
che, naturalmente, ho poi amato per tutta la vita. “E. come una
strana visione di tempi venturi/ S'alzava in lontananza tutto
quel che poi avvenne. /Tutti i pensieri dei secoli, i sogni,
tutti i mondi, /Tutto il futuro di gallerie e musei, /Tutti gli
scherzi delle fate, le opere dei maghi, /Tutti gli alberi di
Natale del mondo, tutti i sogni dei bimbi”.
E dopo, Slava, piano piano
s'avvicinò al pianoforte. Ed iniziò a suonare frammenti dai
Bunte blätter di Schumann, la seconda metà. Tutto ciò è avvenuto
nel silenzio, meraviglioso, religioso, come se stessimo alla
messa. Ed era una messa, detta nella lingua dell'arte, diciamo
così.
La regia della comunicazione. Un'enorme lavoro preparatorio, per
questo non si risparmiavano né le forze, né il tempo. Per quale
motivo faceva tutto questo? Cos'era? Un gioco infantile di una
persona adulta? Di vantaggi, nessuno. Non veniva riportato dalla
stampa. Nessuna pubblicità, né soldi, nessuna cosiddetta
“utilità”. Sembrava inutile per scopi immediati. Ma in questa
meravigliosa passione infantile per il gioco – ma non solo –
c'era il desiderio di avvicinare le persone alla spiritualità. E
questo mi entrò dentro per sempre.
L'universalità di Richter. Questo
non proviene da Neuhaus. Neuhaus era particolarmente sensibile
alla parola. Adorava la poesia, conosceva molti versi. A memoria
tutto Puškin. In questo immediatamente siamo andati d'accordo
con lui, perché anch'io sono stata intossicata dalla parola fin
dall'infanzia. Il mondo di Richter è la pittura, il teatro. Non
aveva la stessa passione per la poesia, come Neuhaus. Mi diceva:
“Che memoria la sua! L'invidio sempre per come conosce le
poesie”. Ma aveva le sue predilezioni letterarie. Tra queste
ricordo Hermann Melville, Moby Dick. Da noi uscì allora Moby
Dick con le magnifiche illustrazioni di Rockwell Kent. Slava mi
disse: “Deve assolutamente leggerlo”. E aveva gli occhi talmente
accesi che, naturalmente, lo lessi.
Se posso dire che il mio maestro è
Neuhaus, allora posso anche dire che il mio secondo maestro è
Richter. Certamente egli rappresentava l'esempio, il modello.
Ricordo che ancora ragazza guardavo come s'inchinava: da una
parte, all'orchestra, e dall'altra parte, all'orchestra, e dopo
in sala, al pubblico. Guardavo e cercavo di memorizzare, ecco,
così ...
Verso di noi, i cuccioli, aveva un
atteggiamento bizzarro. E molto protettivo. Io l'ho conosciuto –
terribile da dire! - cinquanta anni fa. Avevo 17 anni, appena
entrata nella sua classe. Ricordo che all'epoca mi piaceva molto
The Forsyte Saga. Deliravo per questa Saga. Mi trovavo in casa
di Neuhaus, finita la nostra lezione, ed arrivò Richter. Giovane
(allora aveva 33 anni), magro, pazzescamente bello, con una
bella corporatura. Lo avevo già incontrato in via Herzen, mentre
camminava per strada, masticando un filone di pane: appena
comprato dal fornaio e lo masticava con le sue mascelle
teutoniche ...
Genrich Gustavovič mi ha
presentato. E siamo usciti per strada insieme a lui! Mentre
camminavo, pensavo: “Di che cosa posso parlare con lui?” A 17
anni ero una selvaggia ... Tutta contratta, dissi: “Slava, a lei
piace The Forsyte Saga?” Lui mi guardò, comprendendo
perfettamente il mio stato di adorazione infantile, e disse: “Ma
sì, ma sì, certamente, è buona letteratura inglese di qualità”.
Io intuii nel suo atteggiamento verso questo libro una certa
freddezza, mi misi in guardia, pronta a difendere la mia opera
preferita. E lui teneramente: “Non le sembra che ogni tanto
assomigli ad una cartolina illustrata ben colorata?” Ascoltavo
spaesata. “Ad esempio, Irene...” E all'improvviso capii: bella,
eppure non è viva. Soms, quello sì, è vivo, ed io avrei potuto
difendermi. Ma, con Irene, aveva centrato precisamente.
Mi piaceva fargli domande sulla
musica. Faceva delle osservazioni molto sorprendenti. Una volta
gli ho chiesto (lui suonava il Quarto Studio di Chopin in un
tempo folle e con temperamento demoniaco: “Che cosa s'immagina
qui?” E lui all'improvviso: “Il pattinaggio artistico”. “Chopin
e il pattinaggio?” Ride: “Sa, quando girano sulle punte. No,
naturalmente non quelle belle piroette e le pas, non quelle. Si
ricorda il turbine nello Studio di Chopin, così dinamico, così
pungente e tempestoso. Ricorda quando loro girano sulle punte...
e persino il ghiaccio scricchiola!”
Preludio e Fuga di Bach, secondo
volume, in la minore. Lui: “Come? E' chiaro cosa c'è lì: la fuga
di Maria in Egitto. Strisciante, misterioso, questi cromatismi
striscianti, che camminano attentamente sui sentieri. E la Fuga
– la strage degli Innocenti. Le spade incrociate”.
La fuga in Egitto! Le spade
incrociate! Un’immagine precisa. Non si trova né in Henri Perrot,
né in Schweitzer, né nel nostro Javorskij. Di questa immagine
evangelica non ho letto da nessuna parte, proviene da Richter.
La utilizzo ancora oggi, quando lavoro con i miei allievi.
La messa funebre per Richter è
stata celebrata nella chiesa ortodossa. Molti si sono
meravigliati: “Perché, era ortodosso? Oppure...” Non gli ho mai
fatto domande su questo tema, sarebbe stato fuori luogo, non era
importante. A differenza di coloro che con un largo gesto si
fanno la croce di fronte alle telecamere, lui non lo ha mai
fatto. Non esibiva la croce, in genere nessuno conosceva questo
lato della sua vita. Ma si poteva dedurre da molti segni che era
credente: da come non parlava male degli altri, dall’incredibile
disinteresse che lo distingueva. Da come non ha risparmiato
nulla, e negli ultimi anni abitava presso amici all'estero. E
non aveva nessun capitale, questo grande pianista, a differenza
degli altri grandi ...
Adesso mi vengono in mente le
discussioni con lui sulla religiosità della sua vita vissuta. La
religiosità nel riconoscere la propria missione, comprendere il
tempo che ti è stato destinato, la comprensione di quello spazio
spirituale nel quale tu devi vivere, solo questo e nessun altro!
E in questo spazio spirituale non faceva entrare nessuno a lui
estraneo. Mai visto in casa sua nessun burocrate, nessuna
agitazione triviale e contingente. Era un mondo completamente
diverso, era il suo mondo.
La missione dell'artista. Ricordo
una conversazione. E' successo dopo l'espulsione di Aleksandr
Solženicyn dall'Unione degli scrittori[7].
Arrivò Stasik Neuhaus; grazie ad amici letterati si era
procurato lo stenogramma della riunione durante la quale avevano
espulso Solženicyn dalla sezione di Rjazan'. Stasik lesse, noi
eravamo indignati: allora tutta la nostra intelligencia
ribolliva.
Slava stava seduto nella poltrona,
ci guardava e dolcemente sorrideva. Sul suo viso una dolce
ironia. Poi disse: “Non capisco, perché siete così indignati?
L'Unione degli scrittori sovietici è un’unione di pessimi
scrittori. Mentre Solženicyn è un bravo scrittore. Allora perché
dovrebbe stare in questa unione?”
Osservai: “Slava, si tratta
comunque di un uomo, che adesso viene perseguitato, e ora sta
male”. E lui: “Un uomo con un intelletto simile a quello di
Solženicyn è un profeta. Come non capire che un profeta sa cosa
sta per affrontare? Non vi è chiaro che lui sapeva benissimo che
cosa sarebbe poi successo? Sapeva che cosa gli sarebbe crollato
addosso. Ma lui è felice. Vorrei essere al suo posto. Avere il
suo dono di dire tutto ciò che ha detto. E' felice per aver
compiuto la propria missione!”
Rimasi colpita da quelle parole.
Pensai: “Dio mio, è un punto di vista assolutamente religioso”.
Più tardi mi resi conto che la nostra indignazione proveniva
dalla ignoranza di certe leggi superiori. Mentre Solženicyn
stesso dopo ha descritto tutto questo nel libro autobiografico
Quando il vitello incorna la quercia: del come lo spingeva in
avanti una forza sconosciuta, come lo proteggeva qualcuno o
qualcosa, lo proteggeva affinché egli potesse fino in fondo
compiere la propria missione. Dio lo ha salvato dal cancro, lo
ha salvato dal KGB, è stato spinto fuori dal paese, ma non
l'hanno ammazzato ... E Richter che non sapeva nulla di tutto
ciò, lo ha indovinato. Vuol dire che comprendeva cose che
stavano più in alto di noi.
Avendo voltato la schiena alla
politica, stando sempre fuori dal regime, fuori dal potere, egli
si è separato in modo geniale da tutto questo. Per lui non era
facile proseguire per una strada come questa. Vi potete
immaginare quante volte il regime si scagliò contro di lui. E
quante volte diventava una vittima delle numerose provocazioni
da parte del regime, che voleva utilizzarlo come una propria
etichetta, come un suo modello, per dimostrare i suoi successi.
E lui si è sempre allontanato. Era umile e mite. Ad esempio,
consegnava umilmente le propri “percentuali”[8]
al Goskonzert. Il Goskonzert guadagnava con i
concerti di Richter cifre gigantesche mentre lui prendeva da
questi concerti estremamente poco, soprattutto a confronto con
gli altri il suo distacco risultava particolarmente mostruoso.
Però quando si seppe che in America
sua madre si era ammalata gravemente di cancro (Slava ha dato
lì, pare, circa trenta concerti), lui lasciò tutto il suo
onorario a lei. Ed è tornato a casa a mani vuote. Si presentò al
Goskonzert e disse: “Non ho portato nulla”. “Come sarebbe? Che
cosa?!” Disse: “Mia madre sta morendo di cancro, ed io ho
lasciato tutti i soldi a lei”. Non ha telefonato, non ha
chiesto, non ha concordato. In alto, nel KGB, hanno fatto una
riunione, hanno chiarito. E poi hanno fatto finta di nulla, come
se nulla fosse accaduto.
Slava, quando riteneva giusto fare
qualcosa, la faceva. Non aveva paura dinanzi al regime.
Semplicemente gli girava le spalle. Si racconta (una cosa molto
caratteristica di lui), che quando Solženicyn si trasferì nella
dacia di Rostropovič (e Richter considerava molto Solženicyn, lo
stimava e lo ammirava; il fatto che Aleksandr Isaevič sia venuto
alla messa funebre di Richter in chiesa mi ha molto rallegrato),
allora, si racconta che il ministro della cultura di quei tempi
Furzeva avrebbe detto a Sviatoslav Teofilovič: “Senta, non
potrebbe in qualche modo convincere Rostropovič? Sono in una
situazione orrenda, mi convocano continuamente in alto e mi
dicono: “Cos'è? Dal tuo Rostopovič sta vivendo Solženicyn,
bisogna smetterla, è impossibile!” Richter le rispose:
“Ekaterina Alekseevna, se Rostopovič caccerà via Solženicyn,
sarò costretto a prenderlo in casa mia. Non può vivere in mezzo
alla strada. Dove dovrebbe abitare, secondo lei?”
In lui la voce della coscienza era
molto forte. Quando morì Maria Veniaminovna Judina[9]
e le autorità non volevano predisporre da
nessuna parte un locale per la cerimonia commemorativa, Nina L'vovna
si dette da fare come una pazza, telefonando a tutti, a chi
poteva, in alto. E alla fine fu costretta a contattare Irina
Antonovna Šostakovič (per non disturbare Dmirij Dmitrievič,
allora molto malato). Slava stava tornando dal Giappone, come
sempre facendo dei giri: attraverso il Kasachistan, gli Urali,
suonando dappertutto. Alla vigilia degli avvenimenti di cui si
sta parlando, sembra che si trovasse ancora dalle parti di
Čeljabinsk, stando in contatto telefonico con Nina. Lei gli
raccontò che non si riusciva a sistemare la bara con il corpo di
Maria Veniaminovna da nessuna parte. Richter disse: “Dio mio! Ma
tutte le sale dovrebbero battersi per avere l'onore di ospitare
questa bara”. Alla fin fine con l'aiuto di Šostakovič si riuscì
ad ottenere l'atrio della Sala Grande del Conservatorio. La
parte musicale della cerimonia Nina L'vovna la affidò a me.
Invitai le persone spiritualmente consone alla Judina. L'unica
persona che non mi decidevo di invitare era proprio Sviatoslav
Teofilovič. Lui era già a Mosca, per un solo giorno, e poi di
nuovo doveva volare continuando le tournée in Europa o forse in
America. Essendo stato fuori casa da due mesi, naturalmente gli
si erano accumulati una montagna di impegni ...
Mentre si svolgeva l'ultima, terza,
parte musicale (suonarono Nasedkin, Virsaladze, Ljubimov, Stasik
Neuhaus, cantò il complesso “Il madrigale”, mentre io avevo
inaugurato con il primo movimento del Chiaro di luna), nella
folla si sentì un brusio: vidi un'alta figura, stava arrivando
Richter. Poi, quando ormai era andato via, domandai a Nina L'vovna:
“Ninočka, com'è successo che Slava è venuto?” Lei rispose: “La
sera prima mi aveva chiesto: “ Ninočka, lei cosa ne pensa,
dovrei comunque suonare alla celebrazione di Maria Veniaminovna?”
Nina: “Slavočka, decida lei stesso. Domani avrà una giornata
molto pesante. Lei potrebbe certamente non suonare”. E lui mi
disse: “No, Ninočka, penso che dovrei suonare... Si, si,
suonerò”.
... Attraversando la folla, mi si
avvicinò sorridente. Aveva gli occhi allegri, pieni di luce (la
percezione religiosa della morte?). “E lei che coordina tutto
qui? Potrei andare io dopo Stasik?” Domandai: “Che cosa vorrebbe
suonare?” “E' un segreto. Adesso sentirà”.
Slava eseguì il Preludio di
Rachmaninov in si minore.
-------------------------
- Vera Gornostaeva,
allieva di Neuhaus, attualmente docente al Conservatorio di
Mosca e occupa la cattedra che prima occupava Neuhaus.
[^]
- Aleksandr Slobodjanik
(1941- 2008) , pianista ucraino di grande talento, allievo
di Neuhaus e della Gornostaeva, della quale è stato il
marito per alcuni anni. [^]
- Rudolf Kerer (1923) –
pianista russo, ha studiato pianoforte a Tbilisi, ma
all'inizio della guerra fu deportato, in quanto tedesco,
nell'Asia Minore e ha dovuto interrompere gli studi
musicali, diventando insegnante di matematica. Nel 1954 ha
ripreso gli studi al Conservatorio di Taškent e nel 1961 ha
vinto il 1° Premio al Concorso Pansovietico, trasferendosi
subito dopo a Mosca dove ha insegnato fino a poco tempo fa.
Attualmente vive tra Germania e Austria, e insegna a Vienna.
[^]
- Nina L'vovna Dorliak
(1908 – 1998) – cantante russa, docente al Conservatorio di
Mosca, dal 1945 compagna di Sviatoslav Richter
[^]
- Richter e Nina Dorliak
coabitavano in due appartamenti uniti sia al vecchio
indirizzo “Brjusov”, sia al nuovo “Bronnaja”. C’era quindi
la “metà” di Richter e la “metà” di Nina Dorliak
[^]
- Dmitrij Žuravlëv
(1900-1991) attore, regista e didatta russo, amico di
Sviatoslav Richter [^]
- Novembre 1969.
[^]
- Si trattava di ben il
90% dell'onorario! [^]
- 19 novembre 1970.
[^]
|